Giorgio Castriota, detto Scanderbeg è una personaggio celeberrimo che influenzò notevolmente il XV secolo, instaurandosi nell’immaginario come simbolo di patriottismo e libertà del popolo albanese.
Nato da Giovanni Castriota, principe di Croia, e da Vojsava Tripalda, Giorgio fu catturato dalle forze ottomane che in quegli anni occupavano l’Albania e sedavano le ripetute rivolte dei principi albanesi. Giorgio giunse alla corte di Adrianopoli come prigioniero insieme ai suoi tre fratelli: due morirono, uno scelse la vita monastica mentre lui combatté per i turchi. La personalità di Giorgio Castriota faceva parlare di sé: era intelligente, brillante, padroneggiava perfettamente l’albanese, il turco e il latino e in poco tempo divenne un abile condottiero e stratega militare. I suoi successi gli valsero la fiducia del sultano, che a soli diciassette anni lo mise a capo dei giannizzeri (corpo principale dello schieramento musulmano) e gli conferì il soprannome di “Iskender” (Alessandro) “Beg” (titolo turco-ottomano per i leader di piccoli-medi gruppi di tribù).
La fama di Scanderbeg iniziò a varcare i confini di Adrianopoli, fino a riecheggiare in Albania, dove il popolo iniziò a fantasticare su un possibile ritorno in patria di quel giovane, forte e promettente, che li avrebbe liberati. Alcuni emissari della sua famiglia riuscirono, in effetti, a raggiungerlo, per metterlo al corrente della grave condizione in cui versava il popolo albanese. Nel frattempo il sultano aveva già incaricato il giovane di guidare la spedizione contro una coalizione a maggioranza cristiana, guidata dal signore di Transilvania che aveva liberato i suoi territori dal giogo ottomano. Fu allora, la notte prima degli scontri, che Scanderbeg decise di ascoltare l’appello della sua gente e di abbandonare l’esercito turco, che cadde a Hunyadi.
Seguito da 300 fedelissimi albanesi, suoi compagni di settore nell’esercito ottomano, Castriota mosse verso Croia e riprese il castello, dove richiamò i nobili per pianificare le operazioni di riconquista dei territori occupati dalle truppe turche. Da quel momento iniziò ad annoverare una serie di successi, grazie ai quali si impadronì via via di tutte le fortezze precedentemente usurpate, mentre il vessillo di suo padre, l’aquila nera a due teste su fondo rosso, sventolava sulle mura del castello di Croia.
Iniziava la riconquista dell’Albania, nasceva la bandiera nazionale albanese: Scanderbeg si autoproclamò vendicatore della propria famiglia e difensore della gente albanese. Le parole: “Non fui io a portarvi la libertà, ma la trovai qui, in mezzo a voi” si impressero nelle menti e nei cuori degli albanesi, che nel 1443 accolsero trionfalmente Castriota, incoronato Principe d’Albania.
Le battaglie contro l’esercito ottomano furono lunghe e tumultuose, tanto da diventare celebri in tutto l’Occidente. Delegazioni del papa e di Alfonso d’Aragona giunsero in Albania per celebrare Scanderbeg, che ottenne i titoli di “difensore impavido della civiltà occidentale” e “atleta di Cristo“. La fama di Giorgio Castriota era commisurata alla straordinarietà della sua impresa: il suo esercito, infatti, ottenne successi sebbene non avesse mai superato i 20.000 uomini.
Le imprese militari italiane
La storia di Giorgio Castriota è intimamente legata anche a quella del medioevo italiano. I suoi fati, infatti, lo condussero ben presto alla penisola quando Ferdinando I, re di Napoli, figlio del suo amico e protettore Alfonso d’Aragona, si rivolse a lui per chiedergli aiuto contro la minaccia di Giovanni d’Angiò. A Orsara di Puglia, nella decisiva battaglia del 18 agosto 1462, l’esercito di Scanderbeg inflisse una dura sconfitta a quello italo-francese. Mentre Giovanni d’Angiò riuscì a malapena a rifugiarsi in Francia, il conte Piccinino, capitano di ventura a capo dell’operazione, fu ucciso.
Ferdinando I nel 1464, in segno di riconoscimento per l’aiuto ricevuto da Scanderbeg, lo nominò “Generale della Casa d’Aragona” e gli concesse i feudi di Monte Sant’Angelo, Trani e San Giovanni Rotondo.